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La percezione del rischio alla guida (parte 1)

In Auto! | 17 Aprile 2021
Carreggiata: definizione e normativa di riferimento

Qual è la variabilità della percezione del rischio quando un guidatore è al comando della propria autovettura? Ecco di seguito alcuni informazione storiche utili!

Gli anni ‘50 e‘60 hanno visto l’inizio del boom della “motorizzazione” in Italia. Sull’onda dell’entusiasmo iniziale, poche erano le riflessioni sulle conseguenze future di questo cambiamento radicale del modo di spostarsi e, in fondo, di concepire una parte della nostra vita. Come sempre, prima o poi, tutti i nodi sono venuti al pettine e, a fronte di una crescita esponenziale del numero di incidenti e di morti su strada, ci si è iniziati a porre delle domande e, soprattutto, a interrogarsi su come intervenire. Sono state migliorate le infrastrutture (in Italia forse meno chein altre parti del mondo), è stata accresciuta considerevolmente la sicurezza dei veicoli, sono state modificate le norme (in Italia in modo molto frammentario e scomposto e, spesso, più dal lato sanzionatorio-punitivo che non da quello preventivo) ma, purtroppo, dove si è intervenuti in modo più limitato è proprio su colui che è il principale responsabile dei danni: il conducente. Vuole dire principalmente due cose, la prima consiste in una vera educazione stradale che parta fino dall’infanzia e che sia affidata a veri esperti e non a «individui di “buona volontà” ma di scarse competenze specifiche»; la seconda è quella di indagare a fondo su tutti gli aspetti psicologici che si nascondono (talvolta non troppo in profondità), dietro a un atto apparentemente così semplice e naturale come quello della guida. Infatti, la guida non è per nulla naturale per il conducente, individuo “costruito” per la velocità del “passo d’uomo”. Egli necessità perciò di apprendimento e allenamento di specifiche competenze per poter realmente affermare di “guidare in sicurezza”. Più volte, nelle norme relative alla formazione dei conducenti e dei loro formatori, si è affacciata la parola “formazione psicologica” ma, quasi sempre, in fase di conversione definitiva delle leggi non se ne è più trovata traccia, quasi come se la sua introduzione spaventasse o criminalizzasse il settore.

Karl Peglau, nato nel 1927 a Bad Moskau sul confine polacco, era uno psicologo del traffico, morto nel Novembre 2010. Studiava, presso l’Istituto di Medicina del Traffico di Berlino, come rendere più sicure le strade analizzando la psicologia del guidatore e del pedone per ridurre la possibilità degli incidenti. Secondo Peglau, i colori del semaforo – rosso, giallo e verde – presentavano dei punti deboli. Non notificavano niente di utile ai daltonici ed erano poco riconoscibili a certe condizioni di luce. Quindi, associò una forma geometrica che suggeriva in maniera inequivocabile di fermarsi o procedere. I due omini, AMPELMANN, uno rosso a piedi uniti e a braccia aperte che impone di fermarsi e uno verde atletico che si precipita in strada per attraversarla, davano direttive più chiare.

Furono simpatici da subito anche ai bambini che seguivano corsi sull’educazione stradale fortemente voluti dalla Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est). Il muro di Berlino nel 1961 si erigeva imponente. Con la caduta del muro ci fu la temporanea scomparsa delle lampade stradali con i buffi omini. Ci volle una vera e propria sollevazione popolare per salvare l’Ampelmännchen dalle discariche e dall’oblio.

Domanda per tutti i lettori: Per guidare in sicurezza basta l’ABS? Che gli airbag funzionino? Che le strade non abbiano buche? Sicuramente… Ma Dorfer, psicologo del traffico italiano, precisa che a determinare la sicurezza della guida interviene un oggetto, che pesa circa un chilo e mezzo ed è collocato tra le due orecchie e non si tratta di un optional. Il cervello! Determina la condotta di guida, la scelta del veicolo, il suo uso e, in definitiva, anche la propensione agli incidenti: “In Italia comincia a farsi strada, nel vero senso della parola, la convinzione che al tema della sicurezza, un corretto approccio non può che essere multidisciplinare (conoscenza dei processi percettivi, attentivi, emotivi, mnestici, di psicologia sociale e del lavoro, di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, di psicologia clinica, ergonomia). Inoltre, è necessario adottare solo misure di cui è documentata l’efficacia, basate su solide evidenze scientifiche. Non siamo ancora ai livelli dei paesi più avanzati come la Danimarca, la Germania o la Francia, ma ci stiamo avvicinando”.

Secondo la psicologia del traffico, un problema molto rilevante, per il rischio di incidenti stradali, è quello della sovrastima delle proprie abilità. Spesso, infatti, si confonde quella che è la semplice abilità di manovrare il veicolo con la capacità di guidarlo in sicurezza. Diversi studi di psicologia del traffico condotti in diversi paesi del mondo evidenziano, infatti, come la maggior parte dei conducenti, in ogni fascia d’età ma in particolare giovani e anziani, sia portata a sottostimare il proprio livello di rischio e a sovrastimare la propria abilità alla guida ritenendola superiore alla media. Si è meno motivati ad adottare comportamenti di prevenzione del rischio (rispetto dei limiti di velocità o uso delle cinture di sicurezza ad esempio) e ci si espone ad un maggior rischio di incidenti. Ogni anno muoiono circa 1 milione di persone per incidenti stradali e circa 21 milioni sono quelle che rimangono disabili.

Diversi studi, come detto, evidenziano come, la maggioranza delle vittime di incidenti appartenga ad una fascia d’età molto giovane e come, ancora, la maggior parte sia causata da categorie di soggetti a basso o medio rischio semplicemente per distrazione o disattenzione e non tanto per l’attuazione intenzionale di comportamenti rischiosi alla guida. La maggior parte degli incidenti, quindi, secondo la psicologia del traffico, è causata dal “conducente normale” prevalentemente per disattenzione e prevenibile, quindi, con un cambiamento di comportamento alla guida.

Il fattore più importante per gestire responsabilmente il rischio dei propri comportamenti alla guida è costituito dall’accettazione della propria vulnerabilità. Fattore, questo, difficilmente presente soprattutto negli adolescenti, generalmente indotti a sottostimare fortemente i livelli di rischio personale.

Poiché i neopatentati rappresentano una delle maggiori categorie a rischio di incidenti stradali, sarebbe opportuno che si tenesse conto di questi elementi nei programmi di formazione delle scuole guida, ancora troppo spesso incentrati sulla mera acquisizione dell’abilità di guida. «Neopatentati» è il termine usato per indicare coloro che hanno conseguito una licenza di guida di tipo A2, A, B1 e B da meno di tre anni ed entro questo arco di tempo. Considerando la limitata esperienza di guida, esistono norme che segnalano specifiche limitazioni e sanzioni, nel caso non vengano rispettate le regole. Da vari anni la normativa nazionale italiana prevede che i giovani “freschi di patente” non possano guidare un qualsiasi autoveicolo.

Per un anno dal conseguimento della patente B, non si possono guidare auto dal rapporto potenza/tara superiore a 55 kW, o comunque dalla potenza superiore a 70 kW. Inoltre, per tre anni, la velocità massima consentita ai neopatentati è di 100 chilometri all’ora in autostrada e di 90 sulle strade extraurbane principali. Dunque, niente macchine troppo potenti e leggere quindi, ma non solo, anche limiti di velocità più bassi. Ci sono le regole classiche (che valgono per tutti, in realtà): non bere alcolici, non assumere stupefacenti, rispettare scrupolosamente i limiti di velocità e mantenere la distanza di sicurezza. E poi niente smartphone, evitare ogni distrazione e, soprattutto, allacciate le cinture.




Fonte: www.safetysecuritymagazine.com